lunedì 8 ottobre 2007

DIALETTO E…ARCHEOLOGIA

Sono due cose molto diverse, eppure apparentemente c'è un filo quasi invisibile che le unisce, tante sono le peculiarità in comune. Archeologia intesa come quelle città d’antico splendore, ridotte oggi a piccoli ed anonimi villaggi o addirittura ad ammassi di rovine, proprio come alcuni dialetti che sono ancora abbastanza vivi (i dialetti veneti al Nord e quasi tutti quelli del Sud), mentre altri sono in via d'estinzione come il mio caro bolognese e quasi tutti i dialetti del Nord e altri ancora già estinti.
Perché una città muore e perché un dialetto sparisce? Perché la loro funzione, un tempo importante e vitale, viene a mancare. Selinunte, Segesta, Sibari (tanto per fare tre esempi…con la lettera "s"!) un tempo antiche e potenti, sono oggi cumuli di pietre e oggetto di turismo e di studi e il bolognese, un tempo parlato da tutto il popolo e da molti cosiddetti "signori", viene usato oggi sì e no dal 25% dei bolognesi ed è parlato nemmeno troppo correttamente. Non è ancora ridotto come Selinunte, ma è sulla buona strada, tanto che già oggi è oggetto di studio ed, ahimé, di… turismo! Arrivare a Selinunte, scendere dall'auto e scattare un paio di foto non significa conoscere la storia di quell'antica città e questo è il grande limite del turismo di massa, quando esso si riduce a qualche foto da attaccare ad un album e al vanto di dire agli amici che si è stati in quella città.
Così il dialetto: c'è chi lo parla ancora, vuoi per ignoranza, vuoi per necessità di farsi comprendere da chi non parla altro, vuoi per spirito d’appartenenza ad un'area linguistica precisa, dove il dialetto significa confidenza, simpatia e anche complicità. C'è chi lo ostenta come un pezzo d'arte raro, chi vuol far credere d'essere ciò che non è mai stato e lo parla (spesso male) anche quando non è il caso. Ecco, questo è ciò che io chiamo "turismo dialettale" e talvolta non è nemmeno turismo, ma vera e propria "truffa" da parte di chi ci specula! C’è chi va a riesumare termini come "ruglàtt" (gruppo, capannello) ormai in disuso, per poi tradurre inconsultamente la parola "banana" in un mai esistito "banèna", e questi sono esempi che ho sentito con queste orecchie! Gli ultimi grandi studiosi veri del dialetto bolognese (Menarini, Cristofori, Vianelli, ecc.) purtroppo non ci sono più e così la vera storia di Bologna e della sua parlata non viene più approfondita, come se nessuno più s'interessasse della vera storia di Selinunte, e sono rimasti i "turisti", cioè chi fotografa semplicemente le rovine e si propone quale esperto della Magna Grecia. Le differenze principali tra queste categorie sono due:
1) lo studioso sacrifica tempo a leggere, a cercare, a dedurre ed a capire, mentre il turista vuole fare in fretta e vuole trovare la "pappa" già fatta.
2) lo studioso si avvicina al dialetto con rispetto e con cautela, mentre il turista lo addenta golosamente e sfacciatamente, con quella supponenza e quella superficialità che, del resto, sono tipiche della gente di oggi.
La morale è semplice: se io non posso essere uno studioso per miei limiti culturali o altro, non debbo nemmeno spacciarmi per quello che non sono e pertanto al dialetto (come alla città antica) mi debbo avvicinare con amore e consapevolezza, oppure mi debbo rassegnare a fare da spettatore o da lettore di chi sa veramente: un ruolo che oggi apparentemente nessuno è più capace d'interpretare, affetti come sono molti da manie di protagonismo!
Tuttavia c'è sempre chi abbocca e, in questo senso, nulla è cambiato dai tempi in cui i ciarlatani vendevano panacee d'ogni genere sulle piazze. Forse perché finché il dialetto era mezzo usuale di comunicazione, c'era curiosità di conoscere altri dialetti ed altre lingue, mentre oggi che viviamo in un clima di globalizzazione, c'è il desiderio di tornare alle origini, di riscoprire le proprie radici…ed è qui che entrano in ballo i ciarlatani!
Perché il bolognese sta scomparendo? Perché ormai tutti parliamo in lingua e non ne abbiamo più bisogno, perché è difficile da pronunciare ed è troppo diverso dall'italo-toscano, perché sono ormai troppi i forestieri che vivono in città, perché…tutto passa, tutto si trasforma, anche la nostra stessa lingua ed anche il dialetto stesso: è inutile usare le stesse parole che usavano i nostri nonni (anche il caro "pulismàn" si sta avviando ad essere chiamato "véggil"). Il bolognese dell'ottocento non usa sempre gli stessi vocaboli di quello del novecento e queste pur piccole differenze sono quelle che denunciano il "turista", il quale, di solito, fa una grande confusione. Certo, quando leggiamo opere antiche, occorre calarci in quel mondo, mentre se parliamo oggi è stonato dire "a tói migh una béssa galèna", poiché oggi si dice "a tói con mé una tartaruga", ciò che è molto più vicino all'italiano, ma che resta dialetto bolognese, parlato correntemente da chi non ha la mania di volersi esibire.
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Paolo Canè

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