venerdì 12 ottobre 2007

UN PATRIMONIO PERDUTO

Ho l'impressione, come accade spesso nella vita, che a volte si dicano certe cose, si facciano certe affermazioni con grande certezza, ma che… non si sappia esattamente di che cosa si stia parlando!
Prendiamo ad esempio, tra le tante, un'affermazione che si sente dire da tempo ed ovunque: "Il dialetto è un patrimonio che si sta perdendo e che invece occorre salvaguardare"! Lo stesso si dice, peraltro giustamente, di certi animali in via d'estinzione, della deforestazione del pianeta e d'altro, tuttavia è innegabile che i dialetti stiano scomparendo, così come certe razze di animali e diversi chilometri quadrati di foresta! Si ha l'impressione che nessuno faccia nulla, o comunque che non si faccia abbastanza, ma qui l'argomento è il dialetto e a quello mi attengo.
Esso pare un patrimonio solo oggi che sta morendo, mentre non molti anni fa era una cosa di cui quasi ci dovevamo vergognare, una lingua da evitare, una etichetta di ignoranza e di volgarità. Oggi tutti lo vogliono recuperare, ma pochi hanno gli strumenti per farlo: non basta parlarlo (male!), magari a sproposito, magari traducendo semplicemente in dialetto sulla bocca gli ordini che il cervello ci manda in italiano! Questo non è recuperare o parlare il dialetto, specialmente da parte di gente che prima mai o poco lo aveva parlato, questa è una sciocca ed inutile ostentazione di chi vuole far intendere di sapere ciò che non sa,è un'ulteriore offesa che gli viene recata.
In effetti, quello che "si sta perdendo" e che "dovremmo recuperare" non sono i vocaboli, bensì lo spirito petroniano: una cosa che abbiamo o che non abbiamo, e non si può "recuperare" ciò che non si è mai posseduto.
Lo spirito petroniano è tante cose, ma soprattutto quella serie di sfumature che hanno presumo tutti i dialetti, proprio perché solo parlati, mentre la lingua resta un mezzo per capirci che è sì nostro, ma che non sarà mai nostro come lo è il dialetto, almeno finché avrà vita, almeno per noi! Il dialetto, solo apparentemente rozzo, contiene in sé un'ironia, un'allegria ed una serie di sottili significati che sono usati e capiti solo da chi lo parla e anche da molto tempo. Un esempio? Ho già detto che i cognomi delle nostre parti hanno una traduzione in dialetto e perciò Baravelli, diffuso in città, si pronuncia "Baravèl", ma un mio parente con questo nome, mio padre (inesauribile fonte di cultura dialettale!) lo chiama "Baravèla" e questa "a" finale è un vezzeggiativo, è un sinonimo di simpatia che quel personaggio sprigionava. Stesse caratteristiche ha il diminutivo “Baravlén-na”!
Esiste una simile sfumatura in italiano?
Ecco, questo è ciò che veramente sta scomparendo e che non salveremo!

Paolo Canè

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