domenica 21 ottobre 2007

AL DÓBBI (n. 95)

Un umarèl, imbariègh ch'me un zvàtt, als pógia càntr'un lampiàn el al trà fóra ànch el budèl. Un cagnén als métt a nasèr e l'imbariègh al burbóta:
-
"Dànca, i fasù ai ò magnè da Ghitón, al vén a l'ò b'vó dal Marlén, mó té, dùvv t'òia magnè?".

AL ZIGÀNT E AL NÀNO (n. 94)

Int un pisadùr ai vén dàntr'un umàz ed dù méter con l'óc' drétt ch'ai balèva. Dàpp un pó als métt al só fiànch drétt un umarcén ch'ai airivèva sé e nà à la zintùra. Al zigànt al s'acórz che l'umarcén al tàca a fèr balèr l'óc' stànch e a gli dìs:

"Di' só, um tùt pr'al cùl?"
"Nà".
"Alàura parché at bàla un óc' à l'improvìs?"
"I én i stiatén".

Proverbio n. 141

Fóra mèrz (ch'a sàn d'avréll)!
Si dice a chi tossisce fragorosamente.

Proverbio n. 140

Fèr v'gnìr al làt al z'nócia.
Fare…cascare le braccia!

GERGHI

Già avevo parlato di gerghi nella stesura del primo libro degli "Appunti" (e forse anche prima!), ma vorrei tornare sull'argomento, poiché sono entrato in possesso di una lista di circa 425 parole, prese dal famoso ed introvabile libro di Alberto Menarini "I Gerghi Bolognesi" (1942). La grafia lascia un po' a desiderare, per via di qualche gruppo di consonanti –nb, di troppe "k", di alcuni suoni –ghi e –ghe, dove l'indispensabile "h" manca e di qualche altra inesattezza: probabilmente il giovane Menarini non aveva ancora messo a punto quella sua grafia che io considero la migliore di tutte quelle viste finora, che è poi la stessa alla quale, grosso modo, io mi riferisco in ogni scritto.
Ho subito interpellato mio padre che è uno degli ultimi bolognesi in circolazione ad avere usato per tutta la vita (lunga quasi un secolo) dialetto e gergo, ma di queste parole ne conosce poco più del 20%! Come prevedevo, ha contestato l'80% non riconosciuto, asserendo che non si tratta di parole bolognesi, convinto com'è di sapere tutto sul dialetto, ma non è così ed io ho cercato di capire e di fargli capire anche il perché.
Qualsiasi gergo è di per sé un idioma poco noto, poiché nasce nell'ambito di un gruppo (meccanici, commercianti, muratori, ladri, ecc.) e tende a rimanere in quell'ambito. Infatti questi gruppi lo parlano, oltre che per spirito di appartenenza, sopra tutto per non farsi capire dagli altri, perciò se tutti venissero a conoscenza di tali termini, questo secondo scopo andrebbe a farsi benedire! Inoltre, anche se alcune voci gergali hanno avuto fortuna, tanto da essere ancora abbastanza diffuse (fànghi, tàp, giàz, ecc.), la maggior parte delle altre sono andate via via perdendosi, sia per l'avanzata dell'italiano, sia perché sono venuti a mancare i suddetti motivi per i quali esse sono nate. E solo un ultranovantenne ne può ricordare alcune, e non tutte, poiché mio padre è stato meccanico, ma non commerciante, non muratore e (spero) non ladro! Anche oggi, in molti ambienti, vengono usate parole che noi indichiamo come "termini tecnici", ma che non sono più gerghi, poiché usati per praticità, per moda o per eleganza e non per non farsi capire dagli altri.
La lettura di questa lista del Menarini mi ha portato a fare qualche riflessione che riporto qui di seguito:

1) l'espressione "a balón" suona strana, poiché ho sempre sentito dire "a balùs" ed anche "rimbunga/ribonza" (merce) l'ho sempre sentita nella forma "rimbànza" in senso generico, ma soprattutto riferita a merce rubata.
2) molte parole definite gergali, sono troppo simili alla lingua o ad altri dialetti e mi riferisco ad esempio a stréll (grido), sgubèr (lavorare), imbunìr (imbonire), pivèla (ragazza), rifilèr (smerciare), spago (paura).
3) alcuni termini sono di chiara origine francese: lumàtt (fiammifero), lungén (lenzuolo), macadùr (fazzoletto da naso), rulànt (veicolo), ecc. (allumette, lingerie, mouchoir, roulant, ecc.)
Di chiara origine latina sono invece furlén ed anche rufidàur (ladro), dove troviamo –fur (ladro) e nel secondo –ruf, forse per metatesi.
4) alcuni altri, dei quali né io, né mio padre eravamo a conoscenza, li ho spesso trovati simili in vari altri dialetti, dal piemontese al veneto, dal lombardo al romanesco. Eccone alcuni: campurèla (campagna), pióla (osteria), pit/pitòn (tacchino), sgnàpa (acquavite), scarcèna (tasca), sàc (£.1000), gàmba e pióta (£.100), pischérla (ragazza).
5) infine una stranezza: il lavoro del Menarini è sicuramente accurato e immagino che nel suo libro del 1942 ci saranno ben di più che 425 parole, tuttavia abbiamo notato la mancanza di alcuni termini gergali che mio padre ed io usiamo ancora spesso, come stufilàusi (tagliatelle), strézzi (sigarette), batintén (orologio), lisa (mantello), sacàn-na (giacca) e l'ormai noto sc'fón (calzerotti). Altre espressioni abbastanza note, ma non indicate nella lista, sono, ad esempio pri là (là, da quella parte) e pr'i tu vìsi (per i fatti tuoi), ecc.

Immagino tuttavia che sarebbe impossibile redigere un dizionario completo delle voci gergali, poiché certamente molti termini sono caduti in disuso prima della nascita del Menarini, se è vero che diversi altri, ancora vivi ai primi del '900, sono ormai spariti e che tra qualche decennio non ne esisterà più nemmeno uno! Il gergo sta sparendo molto più in fretta del dialetto proprio in quanto parlato da una più ristretta cerchia di persone.È lecito, infine, supporre che alcune parole gergali siano state note in un certo ambito, magari abbastanza vasto, e che siano poi "emigrate" in altri ambiti, in modo da raggiungere una certa notorietà. Certe altre è possibile che siano scaturite dalla fantasia di qualche popolano e che siano state usate da pochi e non da tutti i componenti di uno stesso "clan". Questo è ciò che ho detto a mio padre per… tranquillizzarlo e scusarlo di non conoscere tutti i vocaboli citati dal Menarini!

Paolo Canè