mercoledì 7 novembre 2007

Proverbio n. 157

L'àura di quaión la vén par tótt.
Prima o poi tutti sbagliano.

Proverbio n. 156

La's pól méttr'el tàtt in spàla.
Dicesi, impietosamente, di donna non più giovane.

Proverbio n. 155

La prémma galén-na ch'la cànta l'à fàt l'óv, la secànda al l'à cuvè, la térza al l'à caghé.
"Excusatio non petita, accusatio manifesta".

Proverbio n. 154

L'àn dal càz.
Le calende greche.

ANCHE IL DIALETTO CAMBIA (O ALMENO DOVREBBE…)

Ogni anno alcuni giornali dedicano l'intera pagina culturale all'uscita dei due principali dizionari, Zingarelli e Devoto, con due articoli affiancati. E' la stessa pagina d’ogni anno, perciò potrebbero ripubblicarla, tale e quale, anche il successivo, con qualche lieve variazione e cambiando la data! Il giornalista si limita a riportare il numero dei lemmi, dei significati nuovi e dei neologismi, facendo di questi ultimi qualche esempio, tanto per soddisfare la curiosità del lettore, ed anche il prezzo, anch'esso concorrenziale, ad esempio: € 68,40 l'uno ed € 68,50 l'altro!
Si dà molta importanza alla lingua che cambia e s'invitano i consumatori ad acquistare queste nuove edizioni, ma in realtà si tratta di pubblicità occulta ai due dizionari, poiché gli Editori, dovendo pur vivere, sono costretti ad una nuova uscita ogni anno. Però, se è vero che un dizionario ci può servire per 5-10 anni e che pertanto non siamo costretti a spendere 68 euro l'anno, è anche vero che la lingua cambia, ogni giorno, come del resto ha sempre fatto. Ma cosa cambia? Cambiano soprattutto i significati di una stessa parola, ma le "novità" vere e proprie sono quasi sempre o parole americane o "mostriciattoli" (così li chiamava Aldo Gabrielli) che sarebbe bene dimenticare, anziché riportarli su un dizionario che voglia essere serio!
La parola "fusto" ha significato per secoli il tronco, lo stelo, la parte centrale e portante di un qualsiasi corpo. Poi, con l'avvento del petrolio, ha assunto il significato di bidone e infine, nel gergo del '900, l'ulteriore significato di uomo bello e prestante: non si tratta dunque di parola nuova, ma di nuovi significati dati ad una parola vecchia. Uno dei due dizionari una volta dichiarò "solo" 3000 parole nuove e ben 25.000 nuovi significati di parole vecchie.

A differenza di quanto dichiarò una volta un accademico plurititolato: "Non è vero che l'italiano cede sempre più spazio alla lingua americana, se non in pochi determinati settori", dal mio modesto punto di vista io credo che ciò non sia esatto, poiché i "pochi settori" sono apparentemente tanti: la tecnica, l'informatica, la scienza, la medicina, lo spettacolo, la politica e, quel che è peggio, la nostra vita di tutti i giorni!Siamo inflazionati di termini americani, anche se non sappiamo scriverli, anche se non sappiamo pronunciarli, anche se già abbiamo corrispondenti termini italiani di antica nobiltà, anche se detti a sproposito. Sono invece d'accordo col succitato accademico quando denuncia il mondo televisivo ( gli "atroci" reality show) e quello politico (welfare, question time, ecc.) come diffusori di inutili parole incomprensibili alle masse ed attentatori alla nostra lingua.
Il giornalista Giulio Nascimbeni riportò una bella citazione del filologo svizzero Giovanni Pozzi: "Il libro (dizionario, in questo caso), deposito della memoria, antidoto al caos dell'oblio, dove la parola giace, ma insonne, pronta a farsi incontro con passo silenzioso a chi la sollecita. Amico discretissimo, il libro non è petulante, risponde solo se richiesto, non urge oltre quando gli si chiede una sosta. Colmo di parole, tace". Una evidente reazione all'aggressione, soprattutto televisiva, della pubblicità e dell'informazione esasperata, che il Nascimbeni riporta come pertinente alla presentazione di un dizionario, mentre io credo, al contrario, che un dizionario pieno di parole inutilmente "nuove", fastidiosamente anglofone, sovente di dubbio gusto e in buona parte destinate a non durare nel tempo, non rappresenti soltanto un'aggressione al sottoscritto, ma anche alla nostra bella lingua!
Qui non si tratta di voler fermare un processo innovativo che è sempre esistito, si tratta solo di non avere troppa fretta e la pubblicazione annuale di nuovi dizionari induce alla troppa fretta di innovare, poiché qualcosa di nuovo debbono pure pubblicare, se vogliono vendere! Ecco che il libro- dizionario cessa di essere "l'amico discretissimo" descritto dal Pozzi, limita la sua funzione di "conservatore della lingua" che dovrebbe essergli congeniale e diventa strumento di aggressione, perché giustifica e rende ufficiali troppe vanità, come fa la TV, come fanno i giornali, come fa la politica, come fa Internet e come fanno tutti coloro che si spacciano per persone introdotte e moderne.

E la lingua cambia, anche se più lentamente, poiché la globalizzazione lo impone, lo impone l'informatica e lo impongono i sempre più frequenti contatti internazionali. Fortunatamente però molti nuovi termini, anche se i dizionari continuano a riportarli, spariscono dalla bocca degli italiani o restano circoscritti in piccole zone: "ganzo", col significato, secondo le regioni, di bello, elegante o fidanzato o amante, chi lo usa più, se non i toscani? Chi tra i giovani chiama più "matusa" i genitori o "ferro" l'automobile? Eppure questi termini (e centinaia di altri), ostinatamente riportati dai dizionari, sono stati a suo tempo "novità" che hanno fatto vendere nuove edizioni!
E' difficile oggi, ubriachi di consumismo come siamo, distinguere ciò che è utile, giustificato, elegante e necessario da ciò che ci viene inculcato allo scopo di vendere: oggi non esiste più, apparentemente, l'educazione o l'insegnamento, ma esiste solo ciò che si vende o non si vende!
E la lingua cambia. Cambiano di poco la grammatica e la fonetica (per fortuna!), mentre cambiano di molto i vocaboli e così i dizionari diventano i "sacerdoti" delle innovazioni, stabilendo ciò che si dice o non si dice, e pertanto diventa corretto ciò che essi riportano e scorretto ciò che non riportano.
Sono il termometro del cambiamento, anche se i cambiamenti veri e propri hanno bisogno di molto più tempo e di citazioni da parte d’illustri scrittori e poeti.Anche i dialetti cambiano, ma, rispetto alla lingua, hanno tre principali differenze e mi riferisco ora al bolognese:

1) il loro cambiamento è sovente un semplice appiattimento sulla lingua che è sempre più predominante: ho già detto che stiamo salutando il "pulismàn" a favore del "véggil", il "cumpàgn" a favore del "cómme" e da tempo abbiamo dimenticato "chèsa" a favore di "cà", ma gli esempi sono innumerevoli.
2) per il solo fatto d'essere idiomi soprattutto parlati e incidentalmente scritti, accade che i parlanti cambino in modo anche sensibile, mentre i dizionari continuano a riportare vecchie parole che così restano scritte, ma non più pronunciate: vedi "paese" che tutti i dizionari, anche i più nuovi, continuano a scrivere "paiàis", mentre la quasi totalità dei bolognesi pronuncia, da anni, "paàis".
3) proprio perché nessuno ha mai stabilito come si debba scrivere e come si debba pronunciare, a differenza dell'italiano che ha le sue precise regole e poche eccezioni, c'è un'enorme confusione in fatto di fonetica e di grafia tra ciò che è antico e ciò che è moderno, tra ciò che è corretto e ciò che è scorretto, tra ciò che viene tramandato da persone colte e ciò che viene riportato da persone ignoranti e, infine, tra ciò che dicono o che scrivono i bolognesi e ciò che dicono i campagnoli.

La lingua italiana segue dunque il suo percorso, anche se afflitta da parole straniere, anche se inflazionata da termini non duraturi, inquadrata dalla sua grammatica e rifornita dai suoi dizionari, mentre il dialetto, sempre più prossimo alla sua estinzione, è allo sbando. Cambia la pronuncia, ma non cambiano i non troppi scriventi, alcuni dei quali seguono la dottrina illuminata del Menarini, vero innovatore in questo campo, ma la maggior parte degli altri continua a scrivere in un'orgia di termini obsoleti, grafie scorrette e spesso, purtroppo, di non conoscenza: si tratta in pratica di analfabeti che vogliono scrivere!Dunque anche il dialetto cambia o almeno "dovrebbe" cambiare…se solo fosse una lingua scritta!
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Paolo Canè