lunedì 21 aprile 2008

À BRAS RACCOURCIS

Questa espressione francese, da cui il nome del capo gallo del villaggio di Asterix di Uderzo e Goscinny, Abraracourcix, significa letteralmente "a maniche rimboccate", ma è usata più spesso col significato di "a tutta forza", "con tutta la forza", "a rotta di collo" (come diciamo noi). Nel nostro dialetto ha soltanto il primo significato letterale e, semmai, un secondo significato, come del resto anche in italiano, dove "rimboccarsi le maniche" vuol dire "darsi da fare", "mettersi al lavoro".
Ma come si dice in dialetto? Oggi ormai la quasi totalità dei bolognesi (anche quelli d.o.c.) usa la locuzione "tirères só él màndgh" (tirarsi su le maniche), ma il termine preciso, dice quell'inesauribile miniera che è mio padre, sarebbe "armanghères"! E' un verbo che non si trova più nemmeno sui dizionari (almeno su quelli più moderni) e ormai lo si può classificare tra quelli (peraltro bellissimi) ormai spariti: mio padre stesso lo conosce, forse lo usava ancora mezzo secolo fa, ma oggi non lo usa più. Anche perché sa che nessuno lo capirebbe!
Ho detto spesso, in altre sedi, che il dialetto, come qualsiasi altro idioma, è in continua evoluzione, perciò, anche se ci dispiace, è fatale che molte parole vengano man mano abbandonate per far posto ad altre, magari suggerite dalla lingua. Un caso tipico è quel "pulismàn", dall'inglese "police man", poiché le prime uniformi delle G.U.B. (Guardie Urbane Bolognesi) furono copiate da quelle inglesi. Si tratta di un vocabolo in verità ancora abbastanza vivo, nonostante siano trascorsi quasi 175 anni dalla istituzione del Corpo, tuttavia sono moltissimi i bolognesi (specialmente i più giovani) che usano "véggil", brutto, ma formato sull'italiano "vigile". Coloro poi che vogliono adattarlo ancor più ad un'improbabile voce dialettale, usano l'orrendo "vézzil"! Considero errato usare un neologismo, quando ancora è viva la parola originale, ma ancora più errato è voler riesumare un vocabolo ormai in disuso, per millantare una speciale conoscenza di…ciò che non esiste più. E' un inutile esercizio di stupidità! La sola cosa che possiamo fare è registrare certi termini, affinché non sparisca, con essi, anche la memoria, magari studiarli, magari rammaricarsi che certe parole antiche non si usino più e nient'altro.
Un'altra parola, ancora ben viva tra noi anziani, è la "góffla" (di cui esiste anche il maschile "góffel" benché meno usato), ma è fatale che sia in via di estinzione. E' la matassa, il gomitolo di cotone o di corda che si acquista in merceria o in ferramenta, ma è anche la buccia degli acini d'uva e dei fagioli. Quando un tempo soltanto i ricchi mangiavano tortellini mentre i poveri (i "veri" poveri d'una volta!) mangiavano fagioli, si usava ironicamente la frase "magnèr un piàt ed turtlén con la góffla", cioè …di fagioli, appunto! Anche l'ironia tipica dei bolognesi veri sta tramontando con essi. Eppure in italiano non esiste (almeno così pare a me) una esatta traduzione di "góffla", tant'è vero che non si può andare in ferramenta e chiedere una "matassa" di corda ed è abbastanza buffo ordinare anche un "gomitolo" di corda. Perciò succede che noi ci troviamo a chiedere una "gufola" di corda, certi che il negoziante capirà e non si metterà a ridere, ma non saprà mai che quella parola è figlia del latino globula!
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Paolo Canè

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