lunedì 7 aprile 2008

FÙGH

Per i latini "ignis" era il fuoco vivo, la fiamma e "focus" era il focolare domestico, ma è da quest'ultimo che discendono tutte le parole delle principali lingue europee per indicare il "fuoco", oltre all'italiano: fuego (spagnolo), fogo (portoghese), feu (francese) e molto probabilmente anche feuer (tedesco) e fire (inglese). E dunque anche il bolognese "fùgh". "Ignis" è stato usato solo nelle più recenti parole dotte ignifugo, ignivoro, ecc. Curioso tuttavia è che per "accendere il fuoco" in bolognese si dica "tachèr fùgh" (appiccare, attaccare il fuoco), nonostante che esista il corrispondente di accendere che è "impièr", ma che è usato principalmente per una lampadina o per un elettrodomestico. Si dirà perciò "tachèr fùgh" per dire accendere il fuoco, ma "al fùgh l'é impiè" per dire il fuoco è acceso e ancora "al fùgh al tàca" per dire il fuoco si sta accendendo! Per dire tutto brucia si usa "ai tàca fùgh incósa" se si tratta di un incendio, poiché "ai brùsa incósa" è più adatto se si parla di un…arrosto. Curioso anche l'uso di "impiè" (ormai scomparso tra i parlanti d'oggi) per indicare quando il brodo si sta raffreddando ed assume quella particolare patina: in italiano non saprei come renderlo, forse "il brodo si è rappreso", ma penso che altri dialetti abbiano parole equivalenti. Quanto a "brusèr" (bruciare) noi lo usiamo con significati diversi: "brùsa" anche il fuoco se sta bruciando da un po' (solo all'inizio si usa "tachér"!), così come l'arrosto o una sconfitta o una ferita (come, del resto, in lingua), ma anche un caffé troppo caldo, ciò che in lingua si esprime con "scotta".
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Abbiamo il "tacafùgh", parola che molti dizionari ignorano e che letteralmente vuole significare "qualcosa per accendere il fuoco" che potrebbe essere quella particolare pastiglia, comunemente detta "diavlén-na" (diavolina), che serve all'uopo o anche semplicemente l'attizzatoio: la cosa non è ben chiara. Chiaro invece è il modo di dire "T'an è gnànch al tacafùgh!" a colui al quale manca tutto, ma proprio tutto! E poi c'è il non raffinatissimo, ma efficacissimo "brusacùl" che sarebbe una specie di prurito anale. Un disturbo dovuto a molte cause, dall'alimentazione non corretta, allo eccessivo bere, all'incipiente crisi emorroidale, a problemi (forse) di circolazione e, una volta, anche alle scarse condizioni igieniche, molto meno oggi che viviamo nella "civiltà del bidè" (…almeno noi italiani!). Ma esiste anche un significato traslato: "Cus'èt, al brusacùl?" si dice a chi è impaziente o a chi ha troppa fretta. Molte di queste parole stanno ahimé scomparendo, in questo mondo di termosifoni, di resistenze elettriche e di "barbecue", dove l'uso del fuoco vivo è sempre più raro, benché sia stato di vitale importanza nei secoli per scopi alimentari, di riscaldamento, d'illuminazione, religiosi ed anche d'aggregazione sociale. Motivo in più per ricordarli, prima che spariscano del tutto. Oggi il piacere di fare un fuoco è riservato ai pochi che hanno un caminetto (e lo usano!), ai privilegiati che abitano in campagna (anche se molte leggi lo vietano) e, una volta all'anno, anche per tutti gli altri: quando il 31 dicembre, per antica tradizione, si brucia in piazza l'anno vecchio ("as brùsa al v'ciàn"), ciò che è sempre un magnifico spettacolo, meglio della maggior parte delle trasmissioni televisive!
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Paolo Canè

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