martedì 27 gennaio 2009

UNO STUDIO AMERICANO

Non capirò mai perché noi siamo così portati a dubitare di ogni cosa che accade nel nostro Paese, mentre siamo altrettanto portati a credere a tutto quanto viene dall’estero. Il “Corriere della Sera”, “La Stampa”, “Repubblica” e gli altri giornali nostrani possono dire ciò che vogliono, ma ci sarà sempre chi avrà dei dubbi. Però se si sente dire che una tal cosa l’ha detta il “Financial Times”, tutti ci crediamo subito, anche se quel giornale sa dell’Italia ciò che noi sappiamo della Gran Bretagna: poco o nulla! Poi ci sono gli “studi delle università” soprattutto americane, ma anche inglesi, francesi ed altre, però raramente italiane, come se gli “studi” li facessero soltanto all’estero e le nostre università fossero capaci solo …di venire occupate e basta! Al contrario a me sembra che molti di questi “studi” siano assolutamente stupidi (quando, ad esempio, si occupano dei problemi psichici dei tacchini), inutili (adatti soltanto ai quiz televisivi e gabellati come “verità”, al solo scopo di trarre in inganno i concorrenti) e molto, molto opinabili (non tutti i Paesi, non tutti i popoli sono uguali, quanto a gusti, reazioni, comportamento e quant’altro)!
A parte ciò, il solito “studio americano” a cura di un certo Michael Krauss, afferma che, attualmente, al Mondo esistono 6.000 lingue. Io non so se si tratti di lingue soltanto o di lingue e dialetti e non so nemmeno “chi” possa stabilire quale sia la sottile linea di demarcazione tra lingua e dialetto e “come” lo possa fare. Tempo fa lessi da qualche parte (forse il risultato di un ennesimo “studio”!) che soltanto in Cina esisterebbero oltre 500 dialetti, perciò, pensando che i cinesi sono circa un sesto della popolazione mondiale, sarebbe lecito pensare (500 x 6= 3.000) che il numero di 6.000 possa essere composto al 50% da lingue e il 50% da dialetti! Secondo un’altra fonte le lingue sarebbero 6.800, 2.000 delle quali però parlate solo …da 1.000 persone (così scrivono, anche se a me sembra una bufala!).
Ad ogni buon conto, comunque sia, Mister Krauss dice che 2.500 di tali idiomi sono in via di sparizione e che spariranno per primi quelli parlati dai soli adulti e non più dai giovani (per i numeri, non ho nulla da dire, ma quest’ultima riflessione avrei potuto farla anch’io, pur senza frequentare l’Università!).
Anche il mio caro, vecchio dialetto bolognese, sempre che faccia parte delle 6.000 (o 6.800) lingue, è sicuramente compreso nelle 2.500 in agonia e comunque è in via di sparizione, anche se non ne facesse parte! E non era necessario lo studio di una Università americana per dirmelo: lo sapevo già!
Come già sapevo che, se i giovani parlano soltanto italiano e se sono indotti a imparare (bene o male) l’inglese e altre lingue, è naturale che non abbiano alcun interesse o necessità di parlare un dialetto che è e resta una lingua di nicchia, in quanto usata sì e no dall’1% degli italiani: circa 600 mila sono infatti gli abitanti della provincia di Bologna, i quali parlano lo stesso dialetto, anche se con sfumature diverse, pur se notevoli.
Il dialetto diventerà materia di studio, come lo è il latino: chi si sognerebbe di parlare latino oggi, se non qualche cardinale per comunicare con un collega straniero?
In fondo, perché i bolognesi hanno sempre parlato dialetto? Perché sapevano solo quello e non erano capaci di parlare una lingua più colta, come l’italiano. Ma, dato che i giovani hanno imparato ormai tutti quella lingua e la usano, che bisogno avrebbero d’imparare e d’usare il dialetto?
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Paolo Canè

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