mercoledì 12 agosto 2009

ESCLAMAZIONI

“Pustarabìr” è una tipica esclamazione bolognese, ormai quasi scomparsa, che oggi diciamo raramente e soprattutto per sorridere, ma una volta doveva essere qualcosa di molto più grave. Il significato è “che tu possa prendere la rabbia!”, come risulta più chiaramente dal più antico “póset arabìr!” riportato dal Menarini, come esclamazione pittoresca del Dottor Balanzone, in “Bologna dialettale (1978)”.Se non fosse stata una maledizione grave,non esisterebbe la sua forma addolcita che è “pustarabénder”: forse anche l’italiano “accidenti” era una forma grave d’insulto, tanto che esistono “accipicchia”, “accidempoli” ecc. e il nostro “pustarabénder” ha pressappoco questo stesso significato. Ma anche il nostro “azidànt a…” o “ch’at véggna un azidànt” dovevano essere forme ben più offensive di oggi, tant’è vero che abbiamo le forme “azidóll”, “azibrécch”, ecc. La rabbia stessa è una malattia ormai rara, ma non così un tempo, quando era oggetto di diverse allusioni: “èser arabé” (essere in collera), “ai ò una fàm arabé” (ho una fame da lupi), “pósia arabìr s’al n’é vàira” (mi venga la rabbia se non è vero), “l’é gelàus o tifàus o chèr o amèr arabé” (è molto geloso o tifoso o caro o amaro) ecc.
Forse i nostri antenati erano più ignoranti e più violenti di noi, ma probabilmente avevano di più il senso del pudore: un tempo la gente misurava di più le parole e molte erano considerate quanto meno pesanti, mentre oggi diciamo di tutto! Del resto sono molte e in ogni dialetto le maledizioni o le parolacce che sono diventate “lecite” col tempo: pensiamo al “mannaggia” (cioè “male ne abbia”), senza dimenticare il nostro “sócc’mel” (cioè “invito a cui si può anche non aderire”!), parole che, insieme a tante altre, hanno perduto la loro crudezza o volgarità originali, per diventare semplici esclamazioni, certo non raffinatissime, ma ormai innocue, per le quali nessuno più si scandalizza o si offende. Incontrare un amico e dire:” Cùmm vèla, ch’at véggna un azidànt!” sia a Bologna che in Romagna è ormai un’espressione di affetto e non dimentichiamo nemmeno che di recente, con una sentenza (discutibile forse), la Corte (non so se di Cassazione o Costituzionale) ha stabilito che quel “vaffanculo” di origine napoletana, ma ormai diffuso ed usatissimo in tutta Italia (e talvolta anche all’estero!), quel “vaffanculo” che ha originato migliaia di querele e milioni di baruffe, è diventato lecito. Oggi lo possiamo dire, anche se per uno di quei motivi inspiegabili del nostro ordinamento giuridico, resta vietatissimo dire “mi fai schifo”! Io credo che sia molto peggio “vaffanculo”, ma così è stato deciso e non sarà certo l’unica legge assurda, ottusa e cretina che siamo costretti ad osservare!
“Bòia d’un mànnd lèder” è un’esclamazione nostrana, tipica ed innocua, conosciuta da quasi tutti gli italiani, i quali cercano di pronunciarla alla meglio, quando vogliono imitare la nostra parlata.
Ma le espressioni di tutti i dialetti sono quanto mai variegate e variopinte e il nostro dialetto non è da meno. Quanto alle forme addolcite di parolacce o bestemmie che sarebbero troppo crude, ho già accennato sotto il titolo “Eufemismi del dialetto”.

Paolo Canè

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