mercoledì 12 agosto 2009

SCIBBOLETH E...TOPI

La parola ebraica “scibboleth”, sconosciuta e perciò ignorata da tutti i miei dizionari ed enciclopedie, viene citata solamente dal Menarini nel suo “Fra il Sàvena e il Reno” (1969) dove ne da una spiegazione abbastanza esauriente. La parola in sé significa “spiga di grano” ma non è il significato che interessa, quanto la pronuncia. Narra il Vecchio Testamento che la gente di Galaad per riconoscere i fuggiaschi di Efraim che si erano nascosti tra di loro, obbligassero la popolazione ad pronunciare “scibboleth” e chi diceva “sibboleth” (poiché incapace di pronunciare la “sc”, com’era il popolo di Efraim) veniva immediatamente ucciso: uno scherzetto che costò a quel popolo ben 42.000 uomini! Fu ancora così in Sicilia, durante i Vespri, quando per riconoscere i francesi, si faceva pronunciare a tutti “ciciri” (plurale di “cece”): chi diceva “sisirì” era spacciato! Lo stesso accadde tra Siriani ed Egiziani, la parola da pronunciare era “gamal” (cammello): salvo chi pronunciava “jamal”, ucciso chi pronunciava“gamal”. Accadde di nuovo nel 1911 in Cina, dove i rappresentanti del decaduto regime Manciù vennero eliminati poiché incapaci di dire chüan-ehr (cagnolino), mancando loro la “r” e infine fu la volta degli infiltrati giapponesi nelle Filippine, durante l’ultimo conflitto mondiale, ai quali veniva fatto pronunciare “hula-hula”, ma loro erano capaci di dire solo “hura-hura” (non possedendo la ”l”) e venivano scoperti!
Dunque solo Menarini (citando peraltro lo studioso italo americano Mario Pei e il dizionario Panzini, il quale, a differenza dei miei, ne parla) ne indica il significato come “parola d’ordine” o “segno distintivo di appartenenza”ed indica come nostro “scibboleth” la parola “sócc’mel”. Può anche essere giusto, ma io (per quel che può contare il mio parere) sarei più d’accordo con Balzac (pure citato da Menarini), il quale sostiene il significato di prova difficile o difficoltà insormontabile e infatti le parole “shibboleth”, “ciciri”, “jamal”, “chüan-ehr”,” hula-hula”, ecc. più che parole d’ordine o segni distintivi, erano prove insormontabili per chi era costretto ad affrontarle! Pertanto, sempre riferendomi a Menarini (tanto per cambiare…) io sceglierei come “scibboleth” bolognese due frasi da lui citate,che io ho fatto solo la… fatica di mettere insieme! Esse sono:

Èt g’gósst, ghignàus? C’trìght’la: ciàpa la pàndga, méttla int la làta e scudózla!

Il senso (come del resto nei casi suddetti) lascia un po’ a desiderare, poiché la prima frase significa “Ti dispiace, antipatico? Arrangiati” e la seconda “Prendi il topo, mettilo nel bidone e scuotilo”. Due frasi diverse che ne formano una unica, la quale è forse troppo lunga, ma chiunque sia o voglia essere bolognese (in quanto a dialetto, non solo per nascita) deve saperla capire, ma soprattutto pronunciare! Chi non la sa pronunciare in modo perfetto non verrà passato per le armi, ma non sarà bolognese oppure sarà forse anche nato a Bologna da genitori petroniani, ma in quanto a dialetto sarà… un estraneo!
È una frase che contiene sia parole tipicamente dialettali, che poco hanno a che fare col toscano (ghignàus, làta, scudózla), sia parole che hanno certi incontri di consonanti (g’g, c’tr, ndg ) a cui un utente del nostro dialetto è avvezzo, ma chi non ne ha dimestichezza, nato qui o fuori, potrebbe anche…affogarsi!

Questa frase mi dà anche modo di evidenziare (per l’ennesima volta) che il nostro dialetto non è affatto “ostrogoto” come certi (ignoranti) sostengono, ma soprattutto latino e che le sue stranezze sono solo apparenti e dovute unicamente alla caduta di alcune vocali, evidente retaggio delle occupazioni celtico-germaniche del passato.
In questa breve frase le parole interessanti sono almeno tre: g’gósst, c’trìght’la e pàndga e perciò esaminiamole insieme, brevemente:
-g’góst (dispiacere)non è altro che la forma contratta e con meno vocali di “disgusto”
-c’trìght’la (arrangiati) idem come sopra di “districatela”
-pàndga (topo) incomprensibile per chi pensa a “topo”, ma non così per chi conosce il greco (pondiki),da cui deriva l’italiano“pantegana”che rende più chiaro “pàndga”! Mentre l’italiano, oltre a “pantegana”, prevede “topo”, “sorcio”, “ratto” (ed il latino anche “mus”!), la sola voce del nostro dialetto è “pàndga”, che può essere anche maschile (pàndgh), può avere la forma diminutiva se è il topolino (pundghén) e quella dispregiativa se è il ratto (pundgàza) che è sempre al femminile e che viene tradotto nell’italo-bolognese in “topaccia”! Del resto non potremmo tradurlo in modo diverso, poiché con “topa” faremmo sorridere tutti i toscani (e qualche romano). In quelle regioni il femminile di “topo” e “sorcio” hanno un ben preciso significato traslato, per non parlare dei napoletani che danno alla “pantegana” il nome “zoccola” che pure ha il significato traslato di peripatetica!
Tornando al nostro “scibboleth”, penso che la sua funzione potrebbe venire espletata non dalle due frasi unite di cui sopra, ma anche e solamente dall’unica parola “pàndga”! Per quanto ne so io non c’è nessuno al mondo, che non sia un bolognese utente del dialetto, che sappia dire quella parola come solo noi sappiamo dire!
C’è chi ci prova, del resto gli imitatori sono tanti, basti pensare al famoso “socimel” dei meridionali che non riescono a pronunciare una “c” ed una “m” senza metterci in mezzo una “i”! C’è chi ci prova, ma con scarso successo; il problema non sta tanto nel pronunciare tre consonanti di fila (ndg) quanto nel pronunciare una “n” nasale (suono tipico del nostro dialetto), seguita dalle due consonanti “dg” velari. Per noi è facile e naturale, ma per gli altri è un tranello: chi sta attento a pronunciare tutte e tre le consonanti, dimentica che la “n” è nasale, chi sta attento a pronunciare la “n” nasale, dimentica fatalmente la “d” e dice “pànga”, che è tutta un’altra cosa! E poi c’è un secondo tranello: la “n”, oltre che nasale, deve essere molto, molto lunga!)

Ovviamente tutto questo è soltanto un gioco: in fondo essere nati Bologna o no, parlare bene il proprio dialetto o no, non sono cose così importanti. È un gioco che facciamo tra noi tanto per dire qualcosa, un argomento di conversazione come le storie sui segni zodiacali, dei quali tutti parlano, ma pochi ci credono veramente.
Tuttavia la nostra soddisfazione di riuscire a dire correttamente:
Èt g’gósst, ghignàus? C’trìght’la: ciàpa la pàndga, méttla int la làta e scudózla!
…è pari soltanto alla rabbia di chi vorrebbe dirlo, ma non ci riesce!

Paolo Canè

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